Nel frattempo il nostro organico si era rafforzato. L’età media degli impiegati era molto bassa. Si trattava per lo più di giovani altamente motivati e disposti, se non altro per l’età, alla innovazione e al superamento delle più vecchie e formali pastoie burocratiche. Rinata quasi dal nulla, la banca non aveva niente da conservare e si inventava ogni giorno. Fu poco dopo l’apertura della nuova sede, che mi venne l’idea,
di cominciare ad operare anche con l’estero. La mancanza di un servizio per i mercati internazionali era il vero tallone d’Achille della nostra Banca, rispetto alle banche pin consolidate e di dimensioni regionali e nazionali.
Già allora anche le aziende locali di medie e piccole dimensioni e cominciavano a vendere fuori d’Italia.
I buyers delle filiali delle aziende estere cominciavano a farsi vedere anche in Valdelsa. Gli agenti internazionali e gli importatori esteri si presentavano negli uffici delle imprese a chiedere cataloghi e a offrire royalty.
L’artigiano, che aveva fatto appena la quinta elementare o l’avviamento, si vedeva arrivare lettere commerciali scritte in inglese, tedesco o spagnolo. Soprattutto i calzaturifici, ma anche le confezioni e i mobilifici, cominciavano a vendere principalmente anche negli altri paesi europei e nel grande mercato nord-americano.
Nessuna Cassa Rurale aveva allora un servizio estero. lo decisi di infrangere questo tabù. Presi per prima quella che doveva essere la strada maestra, ma lo feci per uno scrupolo di coscienza, sapendo ormai per esperienza che era anche la strada più impraticabile. Tornai quindi di nuovo a prostrarmi sulle eleganti moquettes degli uffici della Banca d’Italia. Come da copione, la Banca d’Italia rispose no alla nostra domanda di autorizzazione.
Ma io, come un vecchio combattente, ormai abituato alle scorrerie solitarie fuori dal branco, mi ero abituato ad aggirare le mura ed a cercare qualsiasi crepa che mi permettesse di superare l’ostacolo. Noi avevamo allora un conto aperto presso il Banco di Roma di Firenze. Chiesi un appuntamento con il Direttore di questa Banca, gli spiegai le nostre esigenze e il Direttore mi diede subito tutta la sua fiducia. Ci concesse di operare sull’estero in nome e per conto del Banco di Roma, che rimaneva impegnato civilmente e penalmente anche per il nostro lavoro. Subito “al primo incontro” il Direttore mi mise in mano un massiccio mazzo di benestare firmati in bianco. Così, travestiti, per così dire, da Banco di Roma, riuscimmo a varcare per la prima volta le frontiere.
Qualcuno sicuramente a Castelfiorentino ricorda ancora di aver spedito la propria merce all’estero con questi benestare, compilati dalla Cassa Rurale su modelli del Banco di Roma e avrà in mente anche la faccia di Spinelli Piero, che fu il primo dei nostri impiegati addetto a gestire questo delicato ufficio.
Alcuni anni dopo arrivò il capo-ispettore della Banca d’Italia e ficcò il naso in questa attività allora, assolutamente inedita, per una Cassa Rurale. Si rese ben presto conto che il nostro nuovo servizio forse funzionava meglio di quello di altre banche che lo praticavano da sempre. “Direttore, perché non ha chiesto l’autorizzazione?” Allora, con grande serenità, mi alzai dalla mia sedia, aprii lo sportello dell’armadio di ferro dell’archivio e tirai fuori una lettera ormai quasi ingiallita dal tempo. Gliela misi sotto gli occhi:
“Guardi! Ecco qui la domanda avanzata due anni fa e mai accolta. Non potevamo restare sull’albero a cantare. I nostri clienti ci chiedevano sempre più spesso assistenza per le loro vendite all’estero”.
Dopo due settimane la Cassa Rurale di Cambiano ricevette l’autorizzazione per tutte le operazioni con l’estero.
Il nuovo servizio era un bambino che riceveva il suo battesimo due anni dopo essere nato.
Nel lontano 1961 quando giunsi alla Cassa eravamo la maglia nera, ultimi in classifica di tutte le Casse Rurali della Toscana. Nove anni dopo eravamo, sempre in Toscana, la prima Cassa Rurale che otteneva l’autorizzazione ad operare con l’estero.