E’ in questo periodo che nacque la collaborazione fra la Cassa Rurale di Cambiano e la Cassa Rurale di Cascina. Alla guida di questo istituto della piana del Valdarno, c’era un certo Viviani Paolo con al suo fianco un fido collaboratore, Francesco Bosio. Quest’ultimo mi sembrò, a prima vista, ma certamente a torto, una sorta di “Yesmen”, si direbbe oggi. Mi colpì per il tic di dire sempre si con il capo al suo superiore, come quelle simpatiche bamboline che allora si mettevano davanti al vetro posteriore delle auto.
Di comune accordo, noi e la fresca alleata di Cascina, assumemmo un informatico che doveva provvedere ad elaborare per conto comune programmi autonomi per la gestione dei conti correnti, dei depositi, dei costi di gestione. Il programmatore doveva lavorare sotto la guida di un esperto bancario. La persona adatta fu individuata in Mauro Benigni, all’epoca dipendente della Cambiano e oggi Direttore Generale della Banca di Credito Cooperativo di Fornacette, in provincia di Pisa.
Riuscimmo in breve tempo ad ottenere quello che volevamo. Il programma di gestione dei conti correnti, che fu allora elaborato in pochi mesi, viene ancora utilizzato, nella sua struttura di base, dalla Banca di Cambiano e dalle altre banche nel frattempo collegate.
A dire il vero la collaborazione con la Cassa di Cascina fu più il frutto di una amicizia che di un’alleanza. lo avevo conosciuto il Viviani Paolo nel lontano 1964, lui che veniva da Ponte a Elsa e si era trasferito poco tempo prima a Montelupo. Le nostre famiglie avevano cominciato a frequentarsi assiduamente e ogni occasione era buona per stare insieme. Perfino l’estate avevamo cominciato a passarla insieme, prima vicino a Tonfano in Versilia e poi a Castagneto Carducci. Lì stavamo in una casetta comune a due piani, lui al pianterreno ed io al primo piano, quando, come accadeva in quegli anni sessanta in cui scoppiò la febbre della casa al mare, i genitori stavano sopra i figli e viceversa.
Così sabati, domeniche e ferie diventavano di fatto non pause, ma prolungamenti del nostro lavoro. Parlavamo di banca a pranzo e a cena, sotto l’ombrellone e a bagnomaria sopra la graticola del fondo sabbioso del mare di Castagneto. Spesso le idee più brillanti venivano allora fra un piatto d’insalata e una passeggiata sull’arenile.
Mettevamo a confronto l’esperienza delle rispettive banche. Si correggeva, si misuravano innovazioni.
Eravamo amici, ma anche complementari e perfino opposti. Io ero abituato a dire pane al pane e vino al vino, ad avere sulla bocca quello che mi passava per la mente, ad essere aperto e disponibile verso la gente che non aveva bisogno di decifrarmi per capirmi. Lui era più introverso, riflessivo per natura. Si sentiva che più che esporsi, calcolava dentro in silenzio come uno di quei computer la cui preparazione ci aveva messo insieme. Eravamo entrambi due caratteri forti, purtroppo o per fortuna spinti ad emergere. Eravamo nati entrambi per sentirsi leader anche se allora non ci accorgevamo che due capi sono spesso troppi in tutti i posti, eccetto che in vacanza.
Le nostre due Banche andavano entrambe bene e primeggiavano in Toscana, ben al di sopra delle altre consorelle della regione.
Poi all’improvviso qualcosa si incrinò nel rapporto fra il Viviani e la sua Banca. Il mio amico Paolo cominciò a manifestare sempre pin il suo disagio a rimanere nella sua Banca di Cascina. Inizialmente cominciò a insistere che voleva andarsene, senza però spiegarmi i motivi, alla fine entrò anche nei particolari che rendevano la sua permanenza impossibile e che non voglio ripetere qui.
Io, allora, ero disposto a farmi in quattro per l’amico del cuore. Non mi interessavano molto le ragioni per cui Paolo voleva andarsene, ma mi sentivo come obbligato a toglierlo ad ogni costo da una situazione che lo tormentava e di cui si lamentava continuamente.
Fu così che a più riprese mi rivolsi al Consiglio di Amministrazione della mia Banca perché si facesse posto a Paolo nel nostro istituto. A dire il vero non c’era bisogno di assumere un altro dirigente con il relativo costo abbastanza elevato. Io stesso, per fare posto a Paolo, dovevo per così dire, stringermi un po’ sulla mia sedia.
Alla fine il Viviani, per la mia insistenza quasi autolesionista in nome di una grande amicizia, venne assunto con il mio stesso grado. Perché fosse chiaro che eravamo sullo stesso livello gli fu approntato un ufficio accanto al mio identico come un autogrill de1l’autostrada.
Ero molto felice di aver convinto il Consiglio di Amministrazione ad assumere un amico. Ci mettemmo subito al lavoro in coppia, pensando che, il nostro sodalizio avrebbe funzionato.
Per la verità mi accorsi presto che se eravamo amici non eravamo per questo identici. Sotto la mia guida la Banca di Cambiano aveva assunto una fisionomia pragmatica contraddistinta da un rapporto franco, diretto e familiare con la clientela, basato sulla concretezza e sulla rapidità nell’affrontare i problemi di chi stava davanti al tavolo. L’amico Paolo appariva più freddo, compassato e diplomatico.
Una volta io ebbi da allontanarmi per un certo periodo dalla sede. Al mio ritorno un nostro cliente di Certaldo, un certo Francesco Rosi che durante la mia assenza aveva dovuto trattare con Viviani, mi disse:
“Senta, Cacialli! Quando trattano con lei le risposte che mi arrivavano erano sempre chiare e perentorie: si può fare, non si può fare. Nei quindici giorni in cui ho dovuto trattare con Viviani mai una volta mi ha detto si e mai una volta mi ha detto no!”. Però, con alti e bassi, il sodalizio continuava a funzionari anche ora che lavoravamo gomito a gomito.
I contatti con la Cassa Rurale di Cascina continuavano. Il Centro Elaborazione Dati che avevamo messo in piedi funzionava. A dirigere la Banca pisana era rimasto il dottor Francesco Bosio, molto legato a Paolo Viviani. A questo proposito mi dovetti ben presto accorgere che le fughe da Cascina, come le disgrazie e le ciliegie, non erano mai solitarie.
Il Bosio e il Viviani erano legati allo stesso picciolo. Anche lui, come in precedenza Viviani, si lamentava ora dei suoi rapporti non buoni con il suo Consiglio di Amministrazione. Paolo ora mi pregava quasi quotidianamente di togliere dalla brutta situazione di Cascina anche il suo amico Francesco. In pratica, dopo aver accolto al mio fianco Viviani, ora dovevo cercare di traghettare da Cascina a Castelfiorentino anche Bosio. Qualche volta, più tardi, a mente fredda e fuori dall’impu1so naturale dell’amicizia, mi sono chiesto come due bravi dirigenti avessero potuto dare adito ad un contrasto così aspro e insanabile con il loro organo amministrativo. Io, per parte mia, guardavo indietro e vedevo che per ben venti anni mi ero sempre trovato in pieno accordo con il mio Consiglio di Amministrazione. Ma quando rivolgevo la stessa domanda a Paolo lui tergiversava e tornava sempre sullo stesso tasto:
“Bisogna portar via di là anche Francesco. Non può più stare in quella situazione”.
Seppure con fatica, perché il tema sfuggiva allora dai miei leali e ingenui modi di pensare, giunsi alla conclusione che a Cascina fosse stata giocata un’aspra battaglia per il controllo effettivo della banca e che alla fine di questa “scalata al cielo” il mio amico Paolo e il suo fedele seguace Francesco fossero usciti perdenti. Ma non per questo, pensai allora, si dovevano abbandonare gli amici. La solidarietà verso una persona, a cui volevo bene, passava davanti a tutto. Bisognava comunque aspettare l’occasione opportuna anche per esaudire di nuovo l’amico.
A quel tempo la Banca di Cambiano, pur in ottima salute, era ancora una Banca con un unico sportello. Non si poteva certo nei locali di via Piave creare un esercito di Franceschiello dove i generali erano più dei soldati. Fra gli impiegati della banca stavano poi crescendo delle ottime professionalità che nulla avevano da invidiare al dottor Bosio e che sarebbero state mortificate da una promozione che non fosse avvenuta, come si suol dire, sul campo.
Dopo qualche mese ebbi un’idea che mi sembrava conciliare le esigenze della Banca e quelle sempre più insistenti dell’amico Viviani. Fu costituita l’Assifinco che avrebbe dovuto svolgere attività complementari a quelle della Banca. Chiamai il dottor Bosio a dirigere la nuova creatura. Il salvataggio dei profughi cascinesi era ormai completo, erano stati sistemati in villa più che in albergo! Era il 1982. Francesco Bosio al momento dell’assunzione mi disse: “Beppe, ti sarò riconoscente per tutta la vita per quello che oggi hai fatto per me”.
Più tardi mi sarebbero tornate a mente queste parole, e insieme a questa promessa, non richiesta e naturalmente non mantenuta, avrei messo anche la considerazione amara di quello scrittore inglese che diceva “Nella prosperità i nostri amici conoscono noi. Nelle avversità siamo noi a conoscere i nostri amici.”