Da questo momento io cominciai ad essere considerato nel Consiglio di Amministrazione come un reprobo, quasì come un appestato a cui era vietato l’ingresso, come agli intrusi e ai cani. Il 29 gennaio 1999 si svolse il Consiglio senza la mia presenza.
Non ricev etti nemmeno 1’avviso di conv ocazione. Questa prassi è irregolare perché secondo gli artt. 36 e 44 dello Statuto della Banca il Direttore Generale “prende parte con parere consultivo alle adunanze del Consiglio di Amministrazione”. A nulla valse obiettare che il direttore non poteva essere invitato perché si parlava di argomenti che riguardavano lui stesso. In primo luogo si parlava di temi che riguardavano gli interessi della Banca e non tanto quelli del Direttore. In ogni caso io per statuto ero tenuto ad essere presente in modo che non si accreditassero delle falsità sul
mio conto.
Venni poi a sapere che in questo consiglio si parlò ancora della vendita delle multilinked AXA e si cercò di far passare, dopo tutto quello che ho detto sopra, la vendita di tali prodotti come la prova che io avrei addirittura sottoscritto il piano strategico Banca- Assicurazione che mai e poi mai, lo ripeto fino alla noia, ho siglato e attuato, riferendo anzi, come ho raccontato sopra, il suo fallimento ai responsabili della AXA.
Questo offensivo e strumentale travisamento della verità mi costrinse a scrivere una lettera di contestazione delle affermazioni riportate nel verbale di questa riunione. Nella documentazione che allego ribadivo con forza le mie osservazioni che sopra ho riassunto.
Con questa lettera di autodifesa, rispetto alle posizioni che in mia assenza erano emerse nel Consiglio di Amministrazione del 29 gennaio, io dimostrai di essere a conoscenza di ciò di cui si era parlato in Consiglio.
Fu così che per mantenere una sorta di segreto di stato sulle decisioni del Consiglio fu deciso di nascondere anche i verbali, almeno per quanto riguardava la mia più che giustificata curiosità.
Nei primi giorni di febbraio 1999 non riuscivo più a trovare i libri sociali, in particolar modo il libro dei verbali del Consiglio di Amministrazione e il libro brogliaccio. In genere il depositario di questi libri sociali era il dottor Francesco Bosio. Mi rivolsi quindi a lui per poterne prendere visione. Il Bosio mi rispose che da alcune settimane il Presidente Cappelli aveva preso in custodia i libri sociali e li teneva gelosamente chiusi a chiave nel suo ufficio in Banca.
Mi rivolsi allora alla signora Scardigli Giuliana che era depositaria delle chiavi dell’ufficio, pregandola di aprire la stanza della presidenza e di mettermi a disposizione i libri sociali perché volevo fare alcune verifiche. La signora Scardigli mi rispose candidamente che i libri non erano piti in Banca, ma si trovavano o presso la sede della Cabel o presso lo studio privato del Presidente, dove il Cappelli esercitava la sua attività di libero professionista. Insomma, i libri erano diventati per me invisibili e io venivo inutilmente indirizzato, come si dice dalle nostre parti, da Ponzio a Pilato.
Due giorni dopo mi venne recapitata una missiva del Presidente in cui mi si informava che nel frattempo si era tenuto un nuovo Consiglio di Amministrazione in data 9 Febbraio e, a seguito del quale, mi si accusava ancora di aver venduto prodotti AXA in contrasto con le deliberazioni del Consiglio (un ritornello tanto ripetuto, tanto falso, come ho dimostrato sopra), di aver rassegnato le dimissioni dalle cariche ricoperte in Cabel (come se rassegnare le dimissioni fosse diventato un reato in un paese in cui purtroppo non si dimette nessuno, attaccati come siamo con il silicone alle proprie poltrone), di aver contestato le irregolarità delle riunioni informali della Banca (come se fosse un delitto non il non rispettare una norma, ma al contrario il segnalarne la sua violazione).
Al di là dei capi di imputazione quasi ridicoli, mi accorsi comunque che si era ormai aperta la stagione della caccia nei miei confronti. Che tutte le armi, anche le trappole più vili e gli argomenti più arrugginiti, erano ormai buoni per cercare di incastrarmi. In altre parole si stavano cercando pretesti, cavilli, sofismi per cacciarmi dalla Banca. Le accuse nei miei confronti erano granelli di sabbia, l’intimidazione, il disprezzo, l’odio personale erano montagne.
La cosa assurda era, fra l’altro, il fatto che non potevo replicare alla missiva del Presidente perché non conoscevo il verbale della seduta del 9 Febbraio.
Chiesi con lettera al Presidente di poter quindi conoscere le delibere del Consiglio. Costui allora mi fece pervenire una lettera in cui mi si comunicava che per la mia autodifesa dovevo riferirmi alla sua missiva e non alle decisioni del Consiglio di Amministrazione.
Era evidente che lettera del Presidente e decisioni del Consiglio non comb aciavano e potevano anche essere dis sonanti. Non mi persi d’animo comunque e risposi alla meglio alla missiva del Presidente controbattendo tutte le accuse che mi venivano fatte.
Nonostante le riunioni clandestine del Consiglio di Amministrazione, nonostante l’ubiquità misteriosa dei verbali e tutto questo gusto infantile di chiudersi al gabinetto per poter soddisfare le proprie esigenze indisturbati, le voci correvano e la situazione era ormai nota a tutto il personale.
Soprattutto lo Zingoni e il Fornai erano molto preoccupati anche se non pensavano ancora che la offensiva contro di me sarebbe giunta fino al licenziamento.
“Non possono allontanare uno come Lei — affermava sicuro lo Zingoni – non possono allontanare uno che la Banca l’ha creata, e dal nulla ha tirato su un impero, ne dovranno rendere conto alla Assemblea dei Soci”.
Io ero meno sicuro “Caro Daniele – gli dicevo – la mia situazione è molto precaria. Il mio rapporto con il Consiglio di Amministrazione è un rapporto di mandato che può essere revocato in qualsiasi momento per giusta causa o no. Le delibere del Consiglio sono esecutive. Basta una semplice lettera di licenziamento e me ne dovrei andare. Poi, se la magistratura non riconosce la giusta causa, la Banca dovrà pagarmi i danni, ma a me i soldi non interessano, io voglio solo lavorare ancora qui nella mia Banca”.
Il Fornai era ancora più allarmato: “Se allontanano Lei, Direttore, qui va tutto a catafascio, di questo non se ne rendono conto?”.
Io lo rassicuravo: “Caro Ademaro, tu sai benissimo che la Banca è solida, anzi è la pit: solida d’Ita1ia, nella sua categoria è ai primi posti per produttività e redditività, abbiamo costruito insieme una organizzazione perfetta, non succederà nulla di tutto questo ed è bene che sia così”.
Era la sera del 2 Marzo.
Mentre parlavo con Zingoni e Fornai il mio ufficio si stava riempiendo di funzionari che arrivavano alla spicciolata. Per le ore 17 era stata fissata una riunione sui controlli. Nella stanza c’era un clima teso e pesante, quasi lugubre. I funzionari assistevano alla discussione fra me e lo Zingoni senza fare una parola. L’imbarazzo e la rabbia, a seconda dei casi, era tale che le lunghe pause di silenzio si sarebbero potute tagliare con il coltello. Come in una mesta cerimonia funebre ognuno aveva paura di dire troppo o di dire troppo poco. Si sentiva che le parole non avevano più corso legale. Le decisioni erano già prese o stavano per essere prese e nessuno dei presenti poteva farci niente. Come con l’arrivo di una tempesta i fulmini e la grandine venivano da lontano e passavano sopra la nostra testa.
Alla fine il Simoncini volle tentare la scalata al cielo.
Invitò tutti i funzionari presenti ad abbandonare la riunione e a presentarsi tutti insieme al Presidente per conoscere con esattezza ciò che stava succedendo e invitarlo a non prendere decisioni avventate che andassero contro l’interesse della Banca. Tutti accettarono con entusiasmo. Solo il dottor Bosio naturalmente dimostrò di non essere d’accordo. Ma, quando si accorse della determinazione dei colleghi, non gli rimase che fare buon viso a cattiva sorte e a malincuore li seguì. Come volevasi dimostrare il Cappelli li ascoltò solo per pochi minuti. Fece loro intendere che le decisioni erano ormai prese e, come se fosse l’esecutore materiale di una condanna inflitta da chissà quale tribunale superiore, lui non aveva pin alcun potere di grazia. Vane furono le insistenze dello Zingoni che ripeteva che il Presidente della Banca era lui, che le eventuali responsabilità erano soltanto sue.
Si capì che dietro la figura grande e massiccia del Presidente c’era il Vivianl. La mia presenza alla Cambiano era diventata, secondo me, un ingombro che tagliava la strada ai suoi progetti.