Decisi allora di avere un colloquio franco e chiarificatore con il Presidente della Cabel prendendo, come si dice, il toro per le corna.
Prima di incontrarmi con il Viviani convocai nel mio ufficio per un ulteriore scambio di opinioni lo Zingoni, il Fomai e il Simoncini. Sì, anche il Simoncini perché sapevo che, nonostante i suoi improvvisi voli pindarici, era in buona fede e aveva in fondo sempre a cuore gli interessi della Banca. Il Simoncini aveva nei confronti del Viviani un senso di soggezione e di paura. Sapeva benissimo che il Viviani aveva fatto a suo tempo pressione sul sottoscritto perché lui fosse rimosso dall’incarico di dirigenza della filiale di Empoli. Io avevo resistito a queste pressioni anche perché la richiesta non aveva esplicite motivazioni, ma era accompagnata solo da vaghi e generici addebiti. Io l’avevo sempre sostenuto e incoraggiato nel suo lavoro di grande responsabilità mettendolo solo in guardia dal suo carattere impulsivo e consigliandolo ad essere ben convinto soltanto lui personalmente prima di prendere ogni decisione. A quel tempo mi fidavo e contavo ancora su di lui.
Con i miei tre più diretti collaboratori discutemmo a lungo ancora della vicenda della Invest Banca. Tutti e quattro alla fine convenimmo che l’acquisto di questa banca, che la Cabel Holding stava per comperare o aveva già comperato, non corrispondeva ad alcun interesse della Cambiano. Era perciò necessario convincere il Viviani che la Banca di Cambiano, pur concedendo il contributo indiretto di 900 milioni, del resto già anticipato, non era interessata a lavorare, come si dice, per il re di Prussia e a versare altri contributi per una operazione da cui non avrebbe ricavato nessun vantaggio. Di questa realtà, a mio avviso incontestabile, avrei voluto parlare anche con altri che non fossero i miei più stretti collaboratori. Avrei voluto parlarne anche in Consiglio di Amministrazione o quantomeno col suo Presidente. Ma sapevo, ormai purtroppo, che parlare di questo argomento con lui era tempo perso, anzi un modo per renderlo nei miei confronti ancor più diffidente e ostile. Per il presidente Cappelli, che io ormai stentavo a riconoscere come il massimo tutore degli interessi della Cambiano che pure avrebbe dovuto essere, tutto ciò che proveniva dalla Cabel era Vangelo. Era un sacrilegio perfino metterlo in discussione e io ormai ero l’eretico da scomunicare. Stessa sorte avrei ottenuto nel Consiglio di Ammlnistrazione. Il fatto è che il Viviani e il Bosio erano ormai padroni di fatto del nuovo consiglio e si erano accattivati la piena e totale fiducia del suo Presidente.
Io ormai ero praticamente solo, avevo solo l’appoggio morale dei miei collaboratori. Eppure, nonostante il nostro isolamento, sapevamo che la verità stava nel nostro cono d’ombra, che eravamo dalla parte del giusto, che difendevamo, seppure accerchiati, gli interessi della Banca e dei soci.
Questa sicurezza ci dava forza morale, e questa adrenalina della coscienza ci faceva vedere solo il nostro dovere e ci cancellava davanti agli occhi i rischi per la nostra sorte personale che non mettevamo nemmeno sul conto.
Fu così che un pomeriggio di metà ottobre andai ad Empoli ad affrontare direttamente il Viviani. Parlai in modo molto pacato, gli chiesi se era vero quello che Bosio casualmente mi aveva accennato, che cioè la Invest Banca avrebbe dovuto portare il suo capitale sociale ad almeno cinquanta miliardi e che questa banca avrebbe operato a tutto campo come una qualsiasi banca ordinaria.
Il Viviani mi confermò quello che la prima volta mi aveva nascosto: che cioè effettivamente questo era il suo intendimento. Aggiunse solo, per cercare di prevenire le mie obiezioni, che la Banca non avrebbe operato nelle piazze dove erano insediate le banche del gruppo. Anzi, secondo lui, il lavoro prevalente della Invest Banca sarebbe stato quello di aiutare le banche del gruppo alleggerendole delle operazioni di finanza e cioè nella gestione dei titoli di proprietà e di terzi e nelle più sofisticate operazioni con 1’estero. In sostanza la Invest Banca ci avrebbe dato quello che già avevamo. Io naturalmente risposi che la Cambiano non aveva necessità di tali servizi in quanto da tempo si era data una efficiente organizzazione in tali settori. In ogni caso, qualora la Cambiano avesse voluto sposarsi con qualcuno aveva almeno il diritto di scegliersi il proprio partner senza che la Cabel combinasse per essa matrimoni prima ancora che ne sentisse il bisogno.
Mi rammaricai con lui perché nel precedente incontro non era stato chiaro nelle sue intenzioni. Io al contrario volli essere estremamente leale e franco con lui. Lo avvertii che, per quanto mi riguardava, non poteva contare sulla mia approvazione nel caso fosse giunta la richiesta di un ulteriore sforzo della Cambiano per partecipare al capitale della Invest.
Il Viviani replicò che avrebbe anche fatto a meno del contributo della Cambiano. A tempo debito disse che avrebbe provveduto alla ricapitalizzazione della Invest Banca. Avrebbe potuto fare a meno anche dell’intervento delle banche del gruppo perché stava prendendo contatti con investitori privati e con alcune compagnie di assicurazione. Era finito dopo trenta anni fra me e il Viviani il tempo della confidenza e del dialogo. Dall’altra parte c’era ormai solo la logica della sfida ostinata e aperta e ben presto rancorosa.
CONFRONTO A CARTE SCOPERTE