Alla fine del 1969 la Banca aveva raggiunto una notevole solidità finanziaria. Ci potemmo permettere una variazione dello statuto che andava incontro ad una realtà economica e sociale ormai molto diversa da quella che quasi cento anni prima aveva assistito alla nascita della Cassa di Cambiano. Allora l’esiguità e la povertà dei soci, la istintiva diffidenza contadina per ogni deposito dei soldi che non fosse dentro il materasso o sotto il mattone, avevano imposto uno statuto severo per cui i soci erano responsabili illimitatamente con i loro patrimoni individuali. Ora le maggiori consistenze patrimoniali ed economiche della Banca permettevano di alleggerire questo vincolo drastico pur mantenendo ampie garanzie.
Nell’assemblea straordinaria dei soci del 9 Novembre 1969 fu approvata una variazione statutaria per cui i soci non erano più responsabili in tutto, ma solo per una somma equivalente a dieci volte il capitale sottoscritto. Le Casse Rurali avevano fino ad allora mantenuto l’obbligo della responsabilità illimitata dei soci. Su questo piano fummo fra i primi ad innovare in direzione di una forma societaria più moderna e più vicina alla operatività bancaria dei nostri giorni.
In quel periodo, seguendo le riviste specializzate e l’esperienza di alcune banche del Nord, ero stato molto attratto dalle prime iniziative del cosiddetto Specialprestito. Con questo sistema si finanziavano con crediti di modeste entità le momentanee esigenze delle persone che non potevano offrire garanzie reali e che costituivano, naturalmente, la maggioranza della popolazione. Si trattava di richieste di modesti impiegati o lavoratori dipendenti che volevano acquistare un elettrodomestico, un’utilitaria, far sposare il figlio o trovare qualche milione in più per giungere ad acquistare il tanto sospirato appartamento in proprietà.
Di fatto, questa clientela non poteva offrire in garanzia che il proprio stipendio o salario. Ma proprio in quegli anni erano molto cresciuti i dipendenti pubblici che godevano della sicurezza del posto di lavoro. D’altra parte lo stesso statuto dei lavoratori approvato in quel periodo, come anche la forte pressione sindacale, rendevano più difficile che in passato anche il licenziamento del dipendente dell’azienda privata. Mi sembrava giunto il momento di aprire le porte del credito anche a questa clientela sempre più numerosa. Essa purtroppo, sino ad allora, considerava la banca il posto in cui si portavano i propri soldi che però solo gli altri potevano usare. Mi rivolsi per prima alla Federazione Toscana delle Casse Rurali, della quale faceva parte a quel tempo anche l’amico Viviani, perché predisponesse un modulo che potesse essere usato da tutte le Casse in questa nuova iniziativa. Ma la Federazione era un organismo di secondo grado che non aveva nessun contatto con la clientela. Non era assolutamente in grado di monitorare giorno per giorno le sue esigenze e le sue potenzialità. Come sempre, la Federazione era il soccorso di Pisa: arrivava in ritardo quando arrivava. Mi decisi ancora una volta a fare l’avanguardista, solo professionalmente parlando, s’intende. Studiai e predisposi in modo piuttosto artigianale un modulo appropriato per effettuare interventi di credito al consumo. Si trattava di dar vita a quelle operazioni rivolte ad operai, impiegati e a tutti coloro che avevano un lavoro subordinato, con notevoli risparmi di costi visto che non si procedeva, in questo caso, ad iscrizioni di ipoteche né alla sottoscrizione ed acquisto di numerosi e costosi effetti cambiari. Oggi queste operazioni sono note a tutti e sono di uso corrente.
Ma allora non mi fu facile, anche all’interno della Banca, far accettare il fatto nuovo di dare soldi a persone che offrivano come uniche forme di garanzia la loro moralità personale e il loro modesto stipendio.
Ricordo un’animata seduta di Consiglio di Amministrazione in cui la nuova forma di finanziamento veniva considerata quasi come un’eresia. Fino a quel tempo il dogma vigente era quello di dare soldi solo a chi, come allora si diceva, aveva “beni al sole” o parenti robusti. Come ebbe modo di obiettarmi in forma riservata un consigliere, si rompeva l’ortodossia, perché fino ad allora lui aveva concorso a deliberare solo pratiche dove di norma apparivano sostanze patrimoniali. Convinsi l’amico facendogli presente che si trattava di operazioni di modesta entità e che avrebbero interessato un’infinità di persone serie e laboriose, cosicché il rischio di insolvenza sarebbe stato statisticamente contenuto.
Alla fine il consigliere sbottò:
“Oh direttore Cacialli, se questo lo dice lei che lo fa di mestiere è segno che ci ha studiato. Proviamo a vedere che succede”. Io mi sentivo come il dottore che aveva legato la sua sorte a quella del malato, al quale aveva promesso la guarigione. Se le cose fossero andate storte qualcuno me l’avrebbe fatta certamente pagare. Un anno dopo la Federazione Toscana delle Casse Rurali predispose finalmente il proprio modulo di Coopercredito che noi subito adottammo. Nel frattempo la Cassa di Castelfiorentino aveva già posto in essere decine e decine di operazioni di credito al consumo che nella stragrande maggioranza venivano onorate puntualmente.