Nel 1978 la Banca di Cambiano aveva scalato la classifica delle Casse Rurali ed era già entrata nel numero delle prime cinque Casse della Toscana. In termini di organizzazione e di patrimonio eravamo ormai la prima Cassa regionale.
In quell’anno avevamo un miliardo e trecento milioni di patrimonio, ventuno miliardi e duecento milioni di depositi e nove miliardi e cinquecento milioni di impieghi.
Era quello il periodo in cui le banche si apprestavano a fare il grande salto di qualità: passando da un sistema gestionale elettrocontabile alla gestione informatica di tutte le operazioni e servizi. In quell’anno già 269 grandi banche a livello mondiale disponevano di un proprio centro elettronico, mentre altre 89 adottavano procedure automatizzate rivolgendosi ad un centro servizi esterno.
Rimanevano indietro le piccole banche la cui grande maggioranza si attardava ancora a sbrigare il proprio lavoro ricorrendo a macchine elettrocontabili di venti anni prima. Solo una piccola parte di esse ricorreva ad elaboratori esterni.
Proprio in quegli anni grandi aziende come la Philips, l’Olivetti e l’americana I.B.M. stavano costruendo terminali intelligenti per le aziende di credito. Si cominciavano ad attivare fuori o lontano dalle sedi sportelli automatici per prelievi di conto corrente, trasferimento di fondi, controlli di saldo attraverso un cartoncino magnetico plastificato. Insomma, stava nascendo l’antenato degli ormai universalmente diffusi Bancomat e carte di credito.
La Cassa di Cambiano per la sua espansione che ormai la faceva emergere fra le piccole banche e la portava a ridosso di una banca di medie dimensioni sentiva particolarmente questo bisogno di passare, al più presto alla fase della informatizzazione di tutti i settori. In teoria noi dovevamo essere aiutati e preceduti su questa strada dalla ICCREA, e guidati dalle federazioni regionali e nazionali delle Casse Rurali e Artigiane, che avevano fra i loro compiti primari quello di offrire servizi e consulenza alle banche associate. Ma in quella sede si continuava a studiare e a ristudiare senza partorire nulla che si potesse toccare. Più volte “noi Direttori Generali”venimmo convocati nella sede della Federazione per parlare, per discutere, per confrontare, come si diceva in una sorta di linguaggio politichese, i propri contributi e le proprie proposte.
Io avevo la passione delle cose concrete e odiavo le discussioni accademiche. Sentivo che ci facevano perdere tempo e occasioni d’oro. Ebbi ben presto l’impressione che in Federazione si stava pestando, come si dice, l’acqua sul mortaio.
Fu così che, ritornando dalla ennesima e inconcludente riunione, maturò in me la decisione di sottoporre al Consiglio di Amministrazione la proposta del nostro distacco dalla Federazione. In quella riunione di Consiglio furono valutati gli eventuali svantaggi che dal punto di vista tecnico avrebbe comportato, per la Banca, l’uscita dalla Federazione. Si giunse alla conclusione che una banca, già fortemente organizzata come la nostra, non avrebbe incontrato, da questo punto di vista, difficoltà insormontabili. Rimaneva, per così dire, l’aspetto politico della questione. Le Casse Rurali di tutta Italia facevano parte allora, salvo rarissime eccezioni, della Confederazione “bianca”, data l’origine della stragrande maggioranza di esse. Proprio in quegli anni il Presidente Nazionale delle Casse Rurali Enzo Badioli era salito al vertice di Presidente della Confederazione di ispirazione cattolica che raggruppava tutte le cooperative, da quelle bancarie, a quelle abitative, a quelle agricole, a quelle di produzione e consumo.
All’interno del nostro Consiglio di Amministrazione c’erano persone di diverso orientamento politico anche se, per la verità, almeno fino ad allora, il peso delle pressioni politiche esterne non si era fatto mai sentire attraverso i consiglieri.
In quella occasione all’interno del Consiglio di Amministrazione si dovette premere molto sul Presidente Cappelli perché alla fine accettasse l’idea del distacco dalla Federazione.
Soprattutto nel sostenere l’autonomia della banca fu forte la convinzione del consigliere Alvaro Fioravanti. In un certo senso la Cassa Rurale di Cambiano si era sempre definita una banca “neutra” intendendo con questa definizione un istituto che voleva stare alla larga da ogni schieramento politico ed operare solo con il riferimento ai suoi obiettivi istituzionali.
In questa convinzione ci veniva in soccorso anche la tradizione della Banca stessa che era stata fondata da Niccoli con un’impronta “laica”, allora molto originale rispetto alle altre Casse Rurali che di fatto erano nate nell’orto della parrocchia.
Alla fine di quella lunga e tormentata riunione del Consiglio di Amministrazione si arrivò a decidere all’unanimità il distacco dalla Federazione. Ora eravamo soli a navigare in mare aperto. Non avevamo più la protezione di un convoglio. Ma potevamo procedere più veloci e più liberi senza aspettare gli altri e senza tenere al minimo i nostri motori per uniformarsi alla lentezza altrui.