Nell’anno 1998 scadevano anche le cariche sociali della Banca e dovevamo rinnovare il Consiglio di Amministrazione e il Collegio Sindacale, che avevano esaurito il loro mandato.
Il nuovo regolamento, approvato dalla assemblea dei soci, prevedeva che non dovessero essere rieletti i consiglieri che avessero superato nel frattempo i settanta anni.
Il consigliere di Certaldo aveva manifestato da tempo la sua volontà di non ricandidarsi. Si aprivano quindi notevoli vuoti rispetto al vecchio consiglio e si andava inevitabilmente verso un ricambio di un organismo che per molti anni era stato stabilizzato e congelato. Lo stesso presidente Cappelli, come abbiamo già in parte accennato, veniva messo sommessamente in discussione da una parte pic cola, ma influente di soci e di di ri genti aziendali. Il Cappelli era apparso particolarmente inquieto nell’anno precedente. Molte volte in consiglio aveva gettato sul tavolo la minaccia delle sue dimissioni, quando le decisioni prese non collimavano con le sue. Più volte aveva abbandonato anzitempo le riunioni con il proposito verbale di andarsene anche dalla presidenza. Il Viviani da buon pastore poi provvedeva a ricondurre la pecorella smarrita sui suoi passi. La lettera formale di dimissioni, spesso minacciata dal Cappelli, continuava a volteggiare nell’aria e non
arrivò mai ai destinatari.
I contrasti fra il consiglio e il Cappelli erano per lo più delle semplici banalità, spesso a me incomprensibili per la loro inconsistenza. Comunque, anche se la situazione si presentava molto propizia per un eventuale ricambio al vertice della Banca, a me ancora più favorevole, io non volli assolutamente approfittare della situazione. La Commissione Elettorale che era stata eletta un anno prima con il compito di selezionare e presentare le nuove candidature per il Consiglio di Amministrazione, sarebbe stata ben contenta di ascoltare e anche di eseguire nella sua maggioranza i miei suggerimenti. Ma io non volli, nella mia lealtà verso tutti e nel mio rispetto dei compiti di ciascuno, mettermi a tramare nell’ombra per ottenere un Consiglio di Amministrazione su misura. Odiavo le congiure dietro le quinte. Non avevo nemici di cui vendicarmi, né pupilli da favorire.
A me interessavano le idee più che gli uomini, i progetti più che le persone. Credevo che chiunque potesse essere eletto per me non aveva importanza, perché pensavo, purtroppo a torto, che tutti fossero in buona fede, come lo ero io. Trenta anni di esperienza nel Consiglio di Amministrazione mi avevano purtroppo viziato, perché dinanzi a me avevo sempre trovato obiezioni oneste e mai personalismi pregiudiziali o ostilità per motivi incomprensibili. Non feci nulla per assecondare le animosità contro il Cappelli, che pure esistevano, né per pilotare il futuro consiglio.
Del resto esisteva nella Banca una sorta di accordo fra gentiluomini mai scritto, ma di cui si era parlato più volte informalmente anche nel Consiglio di Amministrazione. Era opportuno che il Cappelli rimanesse alla presidenza della Banca ancora per tre anni fino alla primavera del 2001. Questo per consentire a chi scrive di andare in pensione con 40 anni di servizio per poi assumere eventualmente la presidenza della banca. Questi discorsi, vere e proprie previsioni da Sesto Caio Baccelli, venivano fatte soprattutto dall’amico Marcello Isolani. Così, diceva questo membro del Collegio Sindacale, avremmo salvato la continuità, avremmo evitato l’assalto alla diligenza e avremmo conservato la banca al riparo di abbordaggi di tipo politico da qualsiasi parte fossero venuti.
Decisi, quindi, di non occuparmi minimamente dei nominativi da inserire nel futuro Consiglio di Amministrazione. Diedi solo disposizioni al dottor Bosio, che si interessava della Commissione Elettorale, di scegliere, oltre che persone oneste, persone che non avessero rapporti di interesse né con la Banca né con la Cabel. Lo pregai di fare in modo che nel conslglio fosse inserito anche un rappresentante di Certaldo e uno di Poggibonsi accanto ai cinque di Castelfiorentino, come previsto dal regolamento e visto il volume di affari che la Banca aveva nei predetti comuni.
Questo distacco nobile, ma ingenuo, dalla formazione del futuro Consiglio di Amministrazione fu un errore che compii in quel fatidico 1998 che sarebbe stato così decisivo per la mia vita. Il mio disinteresse sarebbe stato giusto se anche gli altri si fossero astenuti dalla predisposizione del nuovo consiglio in funzione delle proprie mire. Invece dovevo accorgermi troppo tardi che, mentre io non avevo messo bocca in tutta l’operazione, gli altri erano stati zitti, ma si erano dati da fare. Il risultato di questo operoso silenzio me lo vidi arrivare davanti all’improvviso. Stavo perdendo quasi senza accorgermene la mia banca, la somma di trenta anni di lavoro, una creatura che avevo cresciuto perché altri me la portassero via ora che era adulta, grande ed appetibile.
La sera precedente l’assemblea che doveva approvare il bilancio annuale ed eleggere il nuovo consiglio stavo lavorando con alcuni colleghi. All’improvviso entrarono nel mio ufficio il dottor Bosio e il presidente Cappelli. Mi presentarono la lista dei candidati bella e pronta, mi dissero sorridendo: “Ecco questa è la lista dei candidati. Come vedi abbiamo rinnovato molto. Ti va bene?”
“Non discuto sui nominativi – risposi – alcuni non li conosco nemmeno, non vedo però nessun rappresentante né di Certaldo, né di Poggibonsi. Come mai?”
“Si è ritenuto questa volta di non ricorrere a rappresentanti di quei comuni. Abbiamo optato per un rappresentante di Montaione, un ottimo nominativo. É’ il signor Tognetti, quello del panificio che ci ha proposto il Dragoni. Lo conosce bene, sono ottimi amici. Per quanto riguarda Empoli abbiamo ritenuto opportuno riconfermare il Galigani”.
Non capivo la logica di questa rappresentanza territoriale. La filiale di Montaione aveva allora 19 miliardi di depositi contro i 143 di Certaldo e i 48 di Poggibonsi. Certaldo, del resto, aveva maggiori depositi di Empoli.
La lista dei candidati non mi convinceva, ma era ormai troppo tardi per ribaltare le carte in tavola e già alla prima riunione del nuovo consiglio mi accorsi che non potevo più contare sulla maggioranza.