Fra le molte cose che mi avevano sorpreso e addolorato nel consiglio di amministrazione di cui ho parlato c’era stato il fatto che il dottor Francesco Bosio, mio vice e presente in Consiglio dall’inizio alla fine, si era chiuso, di fronte a quello scontro durissimo, in un assordante silenzio senza proferire verbo e senza battere ciglio, come se assistesse ad una messa solenne o a un triplice salto mortale. La mattina seguente chiamai il Bosio nel mio ufficio e con molta calma gli domandai se condivideva il mio progetto Banca-Assicurazione. La domanda era quasi retorica perché fino ad allora glielo avevo illustrato senza incontrare obiezioni e non avevo nascosto nulla a colui che era il mio primo collaboratore. Mi rispose che lo condivideva
pienamente.
Gli chiesi allora se riteneva possibile che quel progetto fosse realizzato con il coinvolgimento di tutte le banche del gruppo. Lui affermò che il progetto era buono, anche se la Banca si sarebbe creata molti amici, ma anche qualche nemico soprattutto fra gli agenti di assicurazione della zona.
Io lo incalzai più da vicino:
“Ritieni realistico far realizzare quel progetto dalla Cabel con la partecipazione di alcune o di tutte le banche del gruppo?” “Beppe – mi rispose – ma perché mi fai questa domanda? Sai benissimo che nessuna Compagnia di Assicurazione potrebbe risolvere, senza accollarsi enormi costi, i contratti di mandato esclusivo con una folla di agenti sparsi su un territorio così grande come quello coperto
dalle banche del gruppo”.
“Scusami, Francesco – mi spazientii – proprio non ti capisco, condividi appieno il mio piano, lo ritieni opportuno e conveniente per la Banca e per i suoi soci e poi in Consiglio mi lasci solo contro tutti. Tu sei il mio Vice. Quello che probabilmente di qui ad alcuni anni dovrà sostituirmi alla direzione della Banca. Non sei stato capace, ieri sera, di appoggiare il tuo diretto superiore che sosteneva la tesi che tu dici di condividere. Non capisco e non condivido il tuo comportamento. Tu hai paura di esprimere le tue convinzioni, hai paura di comprometterti. Bene, allora devo dirti che io non ti stimo. Così come ieri ho tolto la mia amicizia al Viviani, così oggi la tolgo a te”.
Il Bosio cominciò a piangere. Fra i singhiozzi mi diceva: “Beppe, tu ti sbagli. Io ti sono sempre stato fedele e sempre lo sarò. Non voglio perdere la tua stima e la tua fiducia e nemmeno la tua amicizia. Ti prego, non mi trattare così”.
Vedevo un uomo di cinquant’anni piangere e raccomandarsi. Mi faceva pena. Di nuovo volli convincermi della sincerità delle sue parole. Forse era rimorso vero, forse una sceneggiata, visto quello che ne seguì. Ma io ho ancora il vizio di credere negli uomini e nel pensarli schietti e franchi, come lo sono purtroppo io. La sera stessa, dopo cena, mi chiusi nel mio studio e scrissi una brevissima lettera a Paolo Viviani. In quel messaggio pacato esprimevo la mia amarezza per il suo comportamento. Tuttavia aggiungevo che, nonostante la rottura di una antica amicizia, mi auguravo che l’incrinatura dei nostri rapporti personali non danneggiasse né la Cambiano né la Cabel. Era un estremo invito perché ognuno rimanesse in casa propria senza invadere il terreno dell’altro. Ribadivo che era mia intenzione, come avevo già annunciato, di dimettermi da tutte le cariche che detenevo nelle società partecipate dalla Cambiano. Speravo ancora che il mio esempio fosse contagioso, speravo che anche il Viviani e il Cappelli cominciassero a riflettere sul conflitto di interessi che si andava profilando con la loro presenza incrociata nella Banca di Cambiano e nel gruppo Cabel.
La mia era una decisione irrevocabile che ormai avevo preso per ragioni di principio, anche calpestando ogni mio interesse e affetto personale. Le cariche che andavo ad abbandonare non erano infatti gratuite. Rinunciare alla presidenza del1’Assifinco, che io avevo fatto nascere e crescere dal nulla anche se ora si chiamava CabelAssifmco Leasing, era come staccarsi da una figlia che ora sarebbe stata adottata chissà da chi.
La mattina successiva del 4 Novembre, appena rientrato in Banca, scrissi una lettera al Presidente e a tutti i membri del Consiglio di Amministrazione e al Collegio Sindacale oltre che al dottor Bosio, al ragionier Simoncini e al ragionier Zingoni per chiedere che il Consiglio di Amministrazione si riunisse di nuovo per consentirmi di illustrare serenamente e dettagliatamente quel progetto Banca- Assicurazione che non mi era stato permesso di illustrare nella caotica riunione precedente. Aggiungevo che, poiché un progetto non poteva
essere bocciato senza conoscerlo, mi riservavo in caso di risposta negativa, di far cenno dell’argomento nella assemblea dei soci, visti i vantaggi concreti che il progetto prevedeva anche per loro. Erano quei giorni, dell’inizio del Novembre 1998, i primi veri giorni tristi che passavo da quando ero entrato nella Banca di Cambiano trentotto anni prima. A ridosso della Festa dei Morti sentivo che stava morendo dentro di me anche un periodo lungo quanto metà della mia vita: il tempo in cui la Banca era stata libera di decidere secondo la bontà delle proposte, l’età d’oro in cui una iniziativa era valutata per il vantaggio che portava alla Banca e non per il disturbo che poteva arrecare a qualcuno fuori della stessa.
Per questo la mia attività era così frenetica.
Non volevo rassegnarmi a mettere la parola fine alla storia della Cambiano quale era stata fino ad allora.
Eppure il Consiglio di Amministrazione, nonostante il rimaneggiamento che aveva subìto l’anno prima alle mie spalle, era tutt’altro che compatto.
Il 7 novembre i consiglieri Casini Piero e Benedetti Gianni vennero a chiedermi di illustrare loro il progetto che non avevano potuto ascoltare esaurientemente nella riunione del Consiglio precedente. Ricordo che rimanemmo chiusi nel mio studio per ben due ore in modo che fossero chiare le finalità e gli strumenti del progetto stesso. Alla fine della lunga esposizione i due consiglieri rimasero così convinti della bontà dell’iniziativa che mi chiesero come si poteva fare per riconvocare il Consiglio.
Per riunire di nuovo il Consiglio occorreva per statuto la richiesta di tre consiglieri. Ma non fu possibile trovare il terzo uomo. Dragoni, Tognetti, Galigani stavano dalla parte finora vincente. Quanto al Bini Enzo ci rispose tranquillamente che lui stava sempre dalla parte della maggioranza.
I due consiglieri non si arresero e inviarono subito una lettera al Presidente e ai membri del Consiglio di Amministrazione perché fosse convocato il consiglio per 1’11 novembre.
Nella lettera si dichiarava che essi ritenevano il progetto Banca- Assicurazione estremamente interessante e che nella seduta precedente il progetto non aveva avuto la possibilità di essere illustrato ai consiglieri perché la riunione era degenerata.
Nel frattempo il 9 novembre mi dimisi con una lettera formale, come avevo annunciato, da tutte le cariche che ricoprivo nel gruppo Cabel.
Nonostante l’amarezza che provavo per il rigetto del piano in cui tanto credevo non volli mancare di lealtà verso nessuno e, tanto meno, verso il Consiglio di Amministrazione della mia Banca. Perciò il 12 novembre, in un incontro a Castelfiorentino, informai il signor Tornei, funzionario di AXA, che il Consiglio di Amministrazione nella adunanza del 3 Novembre non aveva neppure preso in considerazione il nostro progetto e che aveva deciso di realizzare un progetto simile affidandolo alla società Cabel che lo avrebbe realizzato con tutte le banche del gruppo.
Volevo anche informare, tramite lettera, il dottor Carpinello della situazione che si era venuta a creare.
“Non occorre – aggiunse il Tornei – stasera stessa sarò a Milano, informerò io stesso il direttore. Provvederemo a prendere immediati contatti con la Cabel. Mi preoccupano comunque le gravi difficoltà che dovremo affrontare, per coprire un territorio così vasto, con le nostre agenzie”.