In questi anni, come abbiamo visto, la Banca di Cambiano si allargava in direzione orizzontale invadendo tutta la Valdelsa inferiore e superiore e straripando anche in direzione della Valdipesa e del Valdarno. Ma cresceva anche in senso verticale aggiungendo sopra di sé delle strutture e delle sovrastrutture che dovevano servire ad allargare i rami delle sue attività e ad offrire migliori servizi. In questa opera di accrescimento delle sue possibilità di azione nacque di fatto un trasferimento lento, ma progressivo di funzioni dalla Cambiano alla Cabel. Senza che io allora avvertissi il rischio di questo pericoloso scivolamento in acque infide, la Cambiano diventava di fatto minorenne, mano a mano che cresceva. In effetti perdeva autonomia diventando più grande. Il primo passo in questa direzione fu il passaggio dall’Assifinco alla Cabel Leasing.
Ma per comprendere meglio gli avvenimenti successivi è necessario a questo punto fare un passo indietro. Come ho già ricordato nel 1983 era stata costituita la società Assifinco. L’Assifinco aveva la forma di una società cooperativa a fini mutualistici. All’inizio il nuovo ente aveva funzionato come broker assicurativo: in pratica metteva a disposizione dei clienti le varie polizze che si potevano trovare sul mercato e che più potevano rispondere alle esigenze particolari di ciascuno.
Ma ben presto l’Assifinco abbandonò il settore assicurativo per dedicarsi alle operazioni di leasing. Come è noto, si trattava in questo caso di offrire ai clienti l’uso di determinati beni mobili e immobili per un certo lasso di tempo in cambio del pagamento di un canone periodico. Era questa di fatto una nuova forma di finanziamento alle imprese. Il suo vantaggio particolare consisteva nel poter scaricare i canoni del bene in uso sui costi di esercizio anziché affidarsi a mutui pluriennali. Ma soprattutto in questo caso il cliente poteva avere immediatamente a disposizione impianti e macchinari, senza attendere i tempi di un eventuale acquisto o costruzione. Negli anni ottanta esistevano ben poche società di leasing in Toscana. La quasi totalità delle operazioni in questo settore erano compiute attraverso il Centro Leasing controllato dalla Cassa di Risparmio di Firenze. All’inizio anch’io fui costretto a stipulare una convenzione con questo Istituto per venire incontro alle richieste sempre più numerose della nostra clientela.
Tuttavia, come al solito, miravo a rendermi autonomo e a poter operare in proprio. Il salto di qualità era però più facile a dirsi che a farsi. A quel tempo le banche non potevano eseguire in prima persona operazioni di leasing. Questa libertà sarebbe stata concessa solo con la legge bancaria del 1993.
Bisognava immaginare un finanziamento diretto della società Assifinco e bisognava anche avere più lumi in materia. Come un giapponese curioso del lavoro altrui, mi infiltrai per alcuni giorni in una piccola società di leasing. Mi accaparrai alcuni testi quasi clandestini che trattavano della materia e mi tuffai nel loro studio. Mi resi conto che per realizzare l’operazione era necessario anche un modesto sistema informatico. Insieme al ragioniere Alessandro Antichi, che allora lavorava alla Cambiano, riuscimmo a trovare una società che ci promise assistenza informatica. L’Assifinco aveva allora un patrimonio di appena alcune decine di milioni. Era necessario ricapitalizzarla e alla fine, nonostante tutto, il sistema per ricapitalizzare la nostra modesta società fu facilmente trovato, quasi come l’uovo di Colombo.
L’Assifinco, in quanto società cooperativa a scopi mutualistici, era finanziata dai soci. E questi ultimi avevano tutto l’interesse al suo finanziamento perché i denari versati fruttavano un tasso di interesse superiore a quello che il sistema bancario poteva offrire in quel periodo. Fu quindi facile sollecitare un’ulteriore partecipazione dei soci al finanziamento della società.
Chiedemmo ai soci di elevare i loro prestiti sociali. L’importante era che la Banca mantenesse sempre, seppure in modo indiretto, il controllo dell’Assifinco.
Partimmo quindi con questa società ricapitalizzata. Potemmo da allora effettuare operazioni di leasing in proprio come le grandi banche. Quello era infatti il periodo in cui anche altri istituti dì credito cominciavano a costituire società da loro partecipate per iniziare operazioni di leasing. In Toscana, ad esempio, era stata costituita nello stesso periodo l’Etruria leasing da parte della Banca Popolare dell’Etruria e la Prime leasing da parte del Monte dei Paschi di Siena. In pochi anni l’Assifinco si sviluppò rapidamente. Nel 1992 la società disponeva già di circa 12 miliardi di beni in leasing e di una riserva patrimoniale di quasi 3 miliardi. Il tutto con un organico di sole quattro persone: anima della rinnovata e dinamica società era il ragioniere Alessandro Antichi. Presidente dell’Assifinco era Sanzio Bandini, un uomo entusiasta e sempre disponibile. Anche l’Assifinco aveva ormai preso il largo e navigava a vele spiegate. “Non bisogna mai spaventarsi quando le cose vanno troppo bene: tanto non durano”. Questa amara osservazione dello scrittore Jules Renard mi è tornata spesso in mente quando ripenso al fatto improvviso che in quegli anni mi costrinse a rivoluzionare l’Assifinco e a mettere in atto inconsapevolmente un meccanismo che poi sarebbe stato usato dagli altri contro di me. Ma io allora, ingenuamente, pensavo solo all’interesse della Banca e dell’Assifinco. Pensavo solo a garantire ai soci e ai clienti della Banca servizi e prodotti innovativi. Altri fin da allora, forse contando sulla mia generosità e sulla mia fiducia, pensavano solo a ingrandire se stessi. Ma non anticipiamo i tempi tristi dei disinganno e della insincerità e torniamo ai fatti.
Nel 1991 una per me maledetta legge impose che per continuare ad operare nel leasing sarebbe stato necessario costituire società per azioni con capitale minimo di un miliardo. Alle società già operanti furono concessi due anni di tempo per adeguarsi alla nuova normativa. Questa legge assestò un colpo mortale all’Assifinco. Vista con gli occhi di oggi, quella legge pose anche le premesse per il mio futuro esilio dalla Banca e per la perdita della sua autonomia. Io per il momento mi maceravo giorno e notte nella ricerca di una soluzione per salvare la società di leasing. Vedevo davanti a me tre alternative:
1) mettere in liquidazione la società e licenziare tutto il personale dipendente;
2) costituire una società con un capitale minimo di un miliardo raccolto fra imprenditori soci e clienti della Banca;
3) ristrutturare la società Cabel che fino ad allora si occupava solo di informatica e farne una holding con la partecipazione al capitale delle tre b anche già socie della Cabel.
Alla fine mi sembrò preferibile quest’ultima soluzione. Anche se allora, ancora fiducioso degli uomini che tanto avevo aiutato, non mi preoccupava questo trasferimento del potere della Cambiano in direzione di una nuova società.
La Cabel (Consulenza Assistenza Bancaria e Leasing) come holding avrebbe partecipato alla nascita della nuova società Cabel Leasing con un capitale di maggioranza pari al 60% (in pratica con 600 milioni). L’ulteriore 40% sarebbe stato versato dalle tre banche in parti uguali.
In sostanza la Cambiano cacciò fuori 400 milioni per costituire la Cabel Holding. Le altre due casse versarono trecento milioni ciascuna. A sua volta la Cabel Holding partecipò con seicento milioni (ricevuti dalle tre banche) alla costituzione della nuova società di leasing. Le tre banche contribuirono per 133 milioni ciascuna alla Cabel Leasing, in modo da farle raggiungere il capitale di un miliardo. Attraverso questo complesso sistema di scatole cinesi la Cambiano versò in totale 733 milioni per costituire le due nuove società che, nonostante questo grosso esborso, non poteva controllare, poichè la partecipazione della Banca di Cambiano, non raggiungeva il 50% più uno del capitale della Cabel Holding. Alla fine il Consiglio di Amministrazione dell’Assifinco scelse questa laboriosa soluzione.
Mi ricordo che, spinto da vaghi presagi, chiesi insistentemente che alla Cambiano fosse concessa una partecipazione del 51 per cento nella holding in modo da mantenere il controllo, anziché avere solo il 40 per cento. Non riuscii nel mio intento e nemmeno il presidente Cappelli sostenne la mia richiesta. L’amico Viviani cercò di rassicurarmi promettendo che in futuro la Cabel Leasing sarebbe stata ricapitalizzata se le operazioni di locazione finanziaria fossero cresciute.
Poi, per vincere le mie perplessità e indorare la pillola, Viviani garantì che alla Cambiano doveva andare la presidenza della Leasing e quella presidenza sarebbe toccata a me.
Io risposi: “Preferirei avere una partecipazione maggioritaria nella Holding che la Presidenza della Leasing”.
Viviani ribatté abbastanza seccato: “Queste sono le condizioni. Prendere o lasciare. Le due banche consorelle non entreranno mai se la Cambiano avrà la maggioranza nella Holding. Al contrario vedono molto bene la Presidenza della Leasing, in mano ad una persona in possesso di una notevole esperienza e professionalità, come sei tu”.
Ringraziai del complimento e non insistetti oltre.
Sapevo comunque che andavo a dirigere una società nella quale la mia Banca non aveva la maggioranza. Ma in fin dei conti mi rassicurava il fatto che pensavo di poter contare su Viviani come un amico fidato.
C’era però stato un episodio in tutta la vicenda a cui oggi sono portato ad attribuire, a torto o a ragione, un significato sinistro. La soluzione adottata trovò una inaudita resistenza nell’allora direttore dell’Assifinco, Alessandro Antichi. Mi fece subito capire che si sarebbe dimesso. Mi disse che non si fidava di Viviani, né tanto meno di Bosio.
Cercai di dissuaderlo: “Non hai niente da temere. Il tuo diretto superiore sono io come Presidente”.
Ma l’Antichi non demordeva. Voleva che si cercassero ancora nuove soluzioni. Non era giusto, secondo lui, regalare il frutto del nostro lavoro e dei nostri sacrifici a persone di cui lui, a differenza di me, diffidava.
Non lo ascoltai e persi così un collaboratore prezioso. Antichi lasciò prima la Cabel Leasing e poi anche la Banca. Quel che mi pesa di più è che ho perso anche la sua amicizia per colpa mia.
Ma esisteva davvero un’altra soluzione? E se sì quale fra quelle che ho indicato sopra? “La seconda che hai detto”, per dirla con una battuta famosa del comico Corrado Guzzanti. Ora lo vedo chiaramente. Dovevamo costituire una società per azioni fra i soci della Banca. Ormai la clientela era così numerosa che l’operazione sarebbe stata possibile. Bastavano mille soci che avessero versato un milione ciascuno per raggiungere il fatidico miliardo necessario. Aver scartato questa soluzione è stato uno dei più grandi errori della mia vita. E l’ho pagato duramente nella mia esistenza. Fui uomo di poca fede e questo fu il mio peccato. Non ebbi abbastanza fiducia in chi aveva fiducia in me, nei soci che conoscevo quasi uno per uno.