Centoventi anni fa Cambiano era poco più di una svolta lungo la strada che fino lì scorreva diritta da Castelfiorentino prima di piegare improvvisamente verso la collina dove si affacciava la chiesa di S. Matteo a Granaiolo.
Lungo il fondo stradale, crivellato di pozzanghere d’inverno e polveroso per la ghiaia sfarinata d’estate, passava ogni tanto un carro di buoi rosso stinto, oppure un barroccio con la sua lanterna ciondoloni alla stanga e i suoi bubboli sulla groppa del cavallo. Sulla curva dominava dall’alto l’imponente palazzo del marchese Pucci, un rettangolo ingente come i settanta poderi che il nobile fiorentino possedeva fra lì e Granaiolo.
Sotto il palazzo, di impronta medicea, c’erano tre grandi edifici dello stesso colore scialbo della villa, con qualche presunzione di imitazione della casa del padrone nelle architravi di arenaria grigia. Intorno non c’erano che le case sparse dei contadini sulle colline comprese fra la vecchia chiesa di Sala e la Pieve di Cambiano e il fondovalle, noto come la Granocchiaia. Laggiù da poco più di trent’anni passava la ferrovia, quasi a braccetto con l’Elsa, a un tiro di sasso dalla strada.
In tutto, fra dipendenti della fattoria, contadini, piccoli trafficanti e vetturali che il treno a vapore aveva quasi rovinato, Cambiano non aveva, come si diceva allora, più di trecento anime.
Fu in questa Cambiano che la sera del 20 Aprile del 1884 si riunì nella cosiddetta sala della scuola comunale (che in realtà altro non era che una fredda stanza presa in affitto da un certo Cappelli) un gruppo di persone che dovevano dare vita alla Cassa Rurale locale. All’appuntamento c’erano undici mezzadri, tre barrocciai, tre negozianti, quattro possidenti. Fra questi ultimi spiccava per il suo aspetto distinto, Vittorio Niccoli, un giovane di poco più di vent’anni che, per l’occasione, si era portato dietro il padre Pietro.
Vittorio Niccoli, il grande regista di tutta l’operazione, pur essendo nato nel nocciolo più vecchio di Castelfiorentino, era finito come professore di agraria a Padova.
Lì, quasi per caso, aveva assistito a tutto quel fermento, che in pochi anni alla fine dell’Ottocento, aveva fatto sbocciare diecine di casse rurali fra Padova, Udine, Venezia, Vicenza e Belluno.
Proprio in provincia di Padova, l’anno prima (1883), era stata costituita a Loreggia la prima Cassa Rurale d’Italia in assoluto. Pochi decenni dopo la Cassa di Loreggia avrebbe avuto il buon gusto di chiudere per lasciare alla Cassa di Cambiano, che ora si andava a costituire, il primato della Cassa Rurale più antica d’Ita1ia.
I contadini presenti non avevano naturalmente la consapevolezza di partecipare ad un evento. Li emozionava di più la presenza di certe persone eleganti e mai viste. C’era, ad esempio, un certo Leone Wollemborg, un signore dal nome incomprensibile e di cui si diceva fosse stato ministro. Di lui solo il Niccoli sapeva che era stato un grande teorico della cooperazione. I convenuti tremavano all’idea di dover esibire la propria incerta o inesistente calligrafia di fronte al notaio Ciapetti di Montaione, chiamato a redigere l’atto. Alla fine il Ciapetti fece certificare le firme più dai pochi testimoni che sapevano scrivere che dalle firme stesse. Fu così che nacque la Cassa Rurale di Cambiano. Una piccola strana banca che non aveva sede, che lavorava la domenica e non i giorni feriali. I prestiti venivano concessi quando una volta al mese, si riuniva di domenica e sempre nella stessa scuola, il Consiglio di Amministrazione. Per i casi pin urgenti ci si doveva rivolgere a Gaetano Tafi, “possidente e negoziante” promosso sul campo ragioniere della Banca e che riceveva nella sua abitazione.
La Cassa Rurale allora chiamata CASSA COOPERATIVA DI PRESTITI CON SEDE IN CAMBIANO prendeva i soldi in prestito al 5% e li concedeva al 7%. Nessun singolo prestito poteva superare le trecento lire. In totale ogni anno non si potevano concedere prestiti per più di duemila lire. Il credito poteva essere concesso solo ai soci. I soci potevano diventare tali solo se erano nati a Cambiano. Nei primi anni i prestiti della cassa furono usati per comperare le bestie da stalla, per acquistare grano da rivendere, per dotarsi di maggiori attrezzi per il lavoro, per procurarsi la paglia con cui nelle case dei contadini si intrecciavano allora i famosi “cappelli di paglia di Firenze”. Nei primi trent’anni della sua esistenza la Cassa Rurale di Cambiano, come una pianticella seminata in un terreno difficile, crebbe costantemente ma lentamente.
Tre anni dopo la sua nascita i soci erano diventati sessanta. Quasi venti anni dopo e al momento dell’entrata dell’Italia nella grande guerra, i soci avevano ormai raggiunto la cifra di centoventi.
Il fondatore Vittorio Niccoli, come un piccolo Cuccia di villaggio, volle mantenere la carica di Presidente della Banca finché visse. Alla sua morte, all ‘indomani della fine della guerra, fu sostituito da Camillo Gambacciani che tenne la carica fino a quando, nel 1937, prese il suo posto Armando Cerbioni.
In questi anni la Banca cominciò finalmente a cercare casa e nel 1929 trovò una prima indegna sistemazione in una stanza lungo la strada, laddove oggi c’è una macelleria.
Nel 1938 decise di varcare infine la piccola frontiera della frazione e di aprire allora la sua attività anche a tutti gli abitanti di Castelfiorentino.
Questa accoglienza, rivolta a tutti gli abitanti del Comune, non fu ricambiata.
Anche la concessione dei prestiti segna, nel periodo fra le due guerre, una involuzione anziché una espansione. Nel 1926 la Banca aveva concesso prestiti per lire 128.556, appena quanto sarebbe bastato allora a comprare una casa. Quasi dieci anni dopo, nel 1935, l’attività della Banca era ancora più ridotta: il totale dei prestiti aperti era di 69.501 lire.
Soprattutto durante l’ultima guerra e nell’immediato dopoguerra il ruolo della Banca è ormai ridotto quasi a un ricordo e a una testimonianza come un glorioso ma vecchio monumento.
Nel 1946 vengono concessi prestiti per 158.198 lire; con le rovine e i lutti della guerra anche la Banca di Cambiano si era quasi spenta. La sua attività riprende con l’opera di ricostruzione prima e con l’inizio dello sviluppo economico poi. Nel 1950 i prestiti della banca assommano a 521.235 lire; nel 1953 a 2.179.000 lire; nel 1957 a 12.440.000 lire. Sono cifre significative, ma assolutamente incapaci di esprimere un ruolo reale di sostegno e di incentivazione nella impressionante evoluzione che, in quegli anni, anche a Castelfiorentino, vedeva la rapida trasformazione di un paese prevalentemente agricolo in un paese industriale.