Si dice che la fortuna è cieca, ma la sfortuna ci vede benissimo. Sembrava infatti che in quel mese di Marzo in cui io personalmente vivevo il peggior dramma della mia vita qualcuno o qualcosa mi avesse preso di mira e si accanisse anche nei confronti dei miei affetti più cari.
Come avevo previsto mia moglie era ricaduta nella sua depressione. Dovevo accompagnarla spesso dallo specialista che aveva ripreso a curarla. Dovevo starle vicino, dovevo sorreggerla e guidarla nei suoi momenti più neri.
Nel frattempo anche mia madre, anche se già avanzata in età, si ammalò gravemente. Preso fra la preoccupazione per mia moglie che soffriva pin di me e per mia madre che sapevo aveva i giorni contati non seguii le trattative fra il Comitato, il Consiglio di Amministrazione e il Sindaco Regini che sapevo solo che si stavano svolgendo.
Una sera poco dopo le venti ero tornato da Firenze ed ero molto angosciato per le condizioni della mamma che difatti di lì a pochi giorni morì.
Mi chiamò il ragionier Cetti e mi invitò a recarmi nella sede del comune di Castelfiorentino dove era in corso una riunione del Comitato. Gli risposi che, visti i miei problemi familiari, non mi sentivo in grado di partecipare ad una riunione in quello stato d’animo e che il Comitato poteva riunirsi anche senza di me.
Ma il Cetti insistette così tanto che io non potei alla fine fare a meno di andare alla riunione. Arrivai in Comune verso le nove di sera e mi trovai davanti una parte del Comitato schierato: il ragionier Cetti, il ragionier Parri, il ragionier Neri, l’ex sindaco Cioni, che rappresentavano una minoranza del Comitato, ma che avevano condotto le trattative con la controparte.
Mi dissero che ormai si stava coneludendo un accordo con il Consiglio di Amministrazione. Il loro presunto trattato di pace era previsto in questi termini:
1) di missione del Consiglio di Amministrazione ;
2) costituzione di una lista bloccata per la rielezione del nuovo consiglio;
3) Presidenza della Banca a Paolo Regini che si sarebbe dimesso anticipatamente dalla carica di Sindaco;
4) scelta di quattro consiglieri da parte del Sindaco;
5) mantenimento nel Consiglio di Dragoni Giuseppe e Bini Mario (molto vicini al mondo Cabel);
6) affidamento al sottoscritto dell’incarico di consigliere del Presidente.
Rimasi deluso ed esterrefatto. In pochi giorni si era passati dalla voglia di vittoria e di rivincita ad una sorta di capitolazione e quasi di resa incondizionata. Mi sembrava di vivere in un altro mondo, di essere di fronte a persone diverse rispetto a quelle che avevo conosciuto due settimane prima. E c’era anche chi gridava vittorla perché avevo perso. Uno dei ragionieri presenti voleva perfino le mie congratulazioni:
“Sarai contento ora, abbiamo raggiunto alla svelta la pacificazione della Banca e le dimissioni complete del Consiglio di Amministrazione”. Per lui essere contento significava accontentarsi di quello che ci rimane dopo che tutto ei è stato tolto.
Io replicai dicendo che, per quanto mi riguardava, non mi sembrava un accordo soddisfacente. Anche perché stavamo per raggiungere la quota delle quattrocentocinquanta firme necessarie per convocare l’assemblea e avevamo venduto quelle firme prima che i firmatari potessero pronunciarsi come desideravano.
Il Cioni aggiunse allora che non si dovevano fare casi personali, che era necessario operare nell’interesse della Banca e che tale accordo consentiva di superare rapidamente le difficoltà incontrate negli ultimi tempi.
Affermai che personalmente non potevo essere d’accordo, ma se il Comitato, di cui io non facevo parte, aveva ritenuto necessario quell’ac cordo, se ne poteva assu mere le responsab ilità. Fui pregato, quasi costretto, a partecipare ad una riunione del Comitato allargato nella sua sede provvisoria.
Durante il breve trasferimento cercai di raccogliere in fretta e furia le idee come se mi fossi all’improvviso svegliato in una casa diversa da quella in cui mi ero addormentato tranquillo pochi giorni prima nella mia innata fiducia negli uomini. Mi tornò a mente la solita idea per cui i comitati funzionano quando sono composti di cinque persone di cui due sono in ferie e due a letto con l’influenza.
Di fatto si era fatto finta di ingaggiare la battaglia contro il mio allontanamento non per farmi ritornare, ma per occupare il vuoto che avevo lasciato. Se avessi aderito all’accordo ora sarei stato di fatto messo in una nicchia in una funzione decorativa come i fiori secchi in salotto che sono morti anche se nessuno si sente di buttarli via. Se avessi rifiutato, secondo il Cioni, ne avrei fatto un caso personale. Come se tutti coloro che andavano a riempire il Consiglio di Amministrazione non fossero un caso personale moltiplicato per sette.
Alla sede del Comitato c’erano una trentina di persone. Iniziarono a parlare i maggiori responsabili. Ognuno, più o meno, esibendo l’accordo raggiunto come un risultato interessante per la Banca.
Parlai anch’io e con grande sforzo cercai di mantenere un atteggiamento il più neutro e impersonale possibile. Mi sembrò quindi di non aver dato nessun giudizio positivo su11’accordo anche se non volli fare questioni personali.
Per la verità il Comitato nella sua maggioranza era quanto meno perplesso e non ci fu nessuna unanimità formale e sostanziale nell’aecettazione della proposta.
Bisogna comunque tener presente che ormai il principale artefice della trattativa era il Regini.
Il Sindaco era entrato in campo come arbitro e ora giocava come centra anti. Da Collina a Ronaldo. E Ronaldo in campo significava portarsi dietro una squadra di migliaia di difensori, centrocampisti, attaccanti quanti sono cioè a Castelfiorentino i sostenitori della parte politica del Sindaco.
Quanto ai professionisti che avevano condotto e diretto l’operazione ognuno aveva il proprio orticello legittimo da coltivare, possibilmente non lontano dalla gente, necessariamente abbastanza vicino alla Banca con cui non si volevano naturalmente tagliare i ponti.
Come diceva Majakovski “Quando una nave affonda gli intellettuali sono tra i primi a lasciare la nave, subito dopo i topi, ma prima ancora delle donne”.
Durante la strada continuavo a deglutire tutto l’amaro che mi era stato servito con quel dopocena. Mi sentivo abbandonato di nuovo. La partita mi sembrava ormai persa. Mi domandavo se valeva la pena insistere. Non potevo, come Orazio Coclite, combattere da solo contro un esercito.